15 NOVEMBRE – “In guerra” con Vincet Lindon ..”E’ un film sulla follia del mondo”

15 NOVEMBRE – “In guerra” con Vincet Lindon ..”E’ un film sulla follia del mondo” 

di Paolo Calcagno 

“E’ un film sulla follia del mondo. Tutti sappiamo che è ingiusto chiudere una fabbrica che fa profitto e che dà lavoro a 1.100 persone, però sbuffiamo se c’è una manifestazione che ci blocca nel traffico, ci stizziamo persino se dobbiamo accostare per far passare un’autoambulanza. I problemi del mondo li valutiamo, e talvolta ne condanniamo le ingiustizie, ma a condizione che non diano fastidio al nostro orticello”. Vincent Lindon, 59 anni, è un attore sanguigno, temperamentale, emotivo, ed è bravissimo sul palcoscenico teatrale come sullo schermo, specialmente quando recita ruoli che hanno il profilo dell’indignazione e della rabbia contro aberranti torti sociali che vanno a colpire gli invisibili (gli immigrati clandestini di Welcome, di Philippe Lloret), gli esclusi (i disoccupati di La legge del mercato, di Stéphane Brizé, che gli valse la Palma d’oro a Cannes, tre anni fa), i perdenti senza scampo nel gioco truccato del neoliberismo e del mercato globale, appunto gli operai in lotta di In guerra, ancora di Brizé, premiato dalla Critica allo scorso Festival di Cannes e, dal 15 novembre, nella sale italiane.

La sinossi del nuovo film di Brizé è molto semplice e riguarda la estenuante battaglia dei dipendenti di una fabbrica del gruppo Perrin Industries che la casa madre con sede in Germania ha deciso di chiudere definitivamente per avvantaggiarsi con la delocalizzazione in Romania dello stabilimento, nonostante i profitti aumentati nell’ultimo anno e in violazione dell’accordo raggiunto con i lavoratori che avevano accettato rilevanti sacrifici finanziari. Pur di salvare il posto di lavoro e di mantenere in vita la fabbrica gli operai, guidati dal sindacalista Laurent Amédéo (Vincent Lindon), si impegnano in un lungo e logorante sciopero che provoca divisioni all’interno, tra i più fragili e opportunisti, favorevoli alla buonuscita proposta dall’azienda, e i più duri e puri, con Laurent in testa, irremovibili sulla difesa della sopravvivenza della fabbrica. Questi ultimi presentano anche la proposta concreta di un compratore, ma l’azienda, sostenuta dalle leggi vigenti, respinge ogni ipotesi alternativa al licenziamento collettivo.

Il racconto di Brizé indaga sui retroscena dei confronti tra i rappresentanti dei lavoratori e quelli dell’ azienda, ne sottolinea con apparente imparzialità le opposte ragioni e scandisce i ritmi delle tappe dolorose e disperate della resistenza opposta dai dipendenti, destinati a soccombere in una lotta impari, e della loro rabbia che monta gradualmente, delusione dopo delusione, contro il muro eretto dall’azienda, fino a esplodere in manifestazioni di violenza che li mette risolutivamente con la schiena al tappeto. E fino all’incredibile sacrificio del dirigente sindacale, battuto dal cinismo spietato della legge di mercato liberista.

“Quella dell’azienda è una dichiarazione di guerra – aggiunge il regista Stéphane Brizé -. I lavoratori credono nelle possibilità della lotta, rifiutano la buonuscita e puntano tutto sul salvataggio del posto di lavoro. Ma l’azienda è irremovibile e non recede dalla sua posizione oltranzista”.

Brizé per un più ficcante effetto del racconto del suo film ha scelto un taglio da “Cinema del reale”, alternando le sue immagini ricche di pathos (ma anche, talvolta, di  tangibile ingenuità) con quelle dei resoconti della Tv e affiancando il bravo Vincent Lindon con attori non professionisti, scelti fra operai, avvocati e rappresentanti sindacali.

Dopo il Premio della Critica, a Cannes, In guerra è ora chiamato al confronto incerto e inappellabile con il pubblico pagante. “Se l’individualismo e l’indifferenza generati dalla società neoliberista possono essere un ostacolo al buon esito del film? – ha concluso Lindon -. Io credo che, se ben presentato, dalla produzione e dalla distribuzione, ma anche dalla critica e dai media, In guerra potrà superare molti film in uscita quest’anno. Del resto, anche i film di Ken Loach trattano questi temi e sono apprezzati dal pubblico. La gente non vuole essere presa per imbecille. Noi raccontiamo la realtà che ci circonda, non diamo indicazioni di pensarla in un modo o in un altro: non siamo tifosi di questa o quella politica perché le ragioni della politica hanno stufato. Preferisco parlare di politica attraverso le emozioni dei miei personaggi e spero che gli spettatori restino attaccati alla loro sedia per le due ore del film”.

 

Paolo Calcagno                

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