Sonia Bergamasco e il mestiere dell’attrice: “Un manuale che è anche una autobiografia”

 

Sonia Bergamasco ha dialogato con Paolo Mereghetti e con il pubblico stamattina al Teatro Petruzzelli, al termine della proiezione di “Riccardo va all’inferno” di Roberta Torre.

 

 

Sonia Bergamasco è stata la protagonista della terza Masterclass al Teatro Petruzzelli, al termine della proiezione di uno dei film da lei interpretati, Riccardo va all’inferno (2017) di Roberta Torre.

 

Tra le mani del suo intervistatore, il critico del Corriere della Sera Paolo Mereghetti, il libro appena uscito per Einaudi che porta la sua firma, “Un corpo per tutti – Biografia del mestiere di attrice”. E proprio dal libro si è partiti per una conversazione che ha toccato tanti aspetti del suo lavoro, nel teatro e nel cinema.

 

«È un libro su commissione – ha raccontato l’attrice – nato due anni fa da un mio incontro con il direttore editoriale della Einaudi Ernesto Franco in un festival letterario in cui io facevo un reading. Mi chiese se avevo voglia di pensare ad una specie di manualetto sul mestiere dell’attore, sulle qualità necessarie, le difficoltà, sullo spazio in cui si muove l’attore. Qualcosa che secondo lui, ma anche secondo me, non esisteva nel panorama editoriale italiano. Questa richiesta mi ha inizialmente spaventato perché io faccio fatica a parlare di me, ma mi sono presto resa conto che era necessario ricorrere alla mia esperienza per dire quello che dovevo dire».

 

Nel libro, Sonia Berganasco racconta, tra l’altro, come prima di intraprendere la carriera di attrice si fosse diplomata in pianoforte al Conservatorio. «Un’esperienza che si è rivelata molto preziosa perché poi ho capito, facendo i miei primi passi alla Scuola del Piccolo Teatro, che la lingua primaria della musica mi avrebbe definito anche fisicamente e nella percezione degli altri. Quando qualcuno, successivamente, mi ha definito come ‘attrice musicale’ mi sono appuntata questa definizione come una medaglietta».

 

La musica le è servita anche come strumento per la ricerca di una propria voce. «Quando avevo 11 o 12 anni mio padre mi aveva chiesto di registrare la mia voce e, riascoltandola, mi resi conto che non la riconoscevo. Passando dal pianoforte, che per anni è stata la mia voce, alla recitazione mi sono posta il problema di come superare i miei handicap di una voce che era inizialmente selvatica ma che poi, anche attraverso lo studio del canto, ha acquisito la sua flessibilità».

 

A proposito di voce, impossibile non rievocare la sua esperienza con Carmelo Bene, che la scelse per il suo “Pinocchio”.

«Per fortuna ho iniziato a lavorare con lui in un momento in cui non ero più tanto disarmata. Era feroce, assoluto, da prendere o lasciare. Con lui si svolgeva un lavoro artigianale, molto duro, faticoso perché lui chiedeva non il massimo ma l’impossibile, anche a se stesso».

 

Tanti i temi affrontati durante l’incontro legati al suo mestiere, dall’importanza dei fallimenti («sono il motore essenziale nel lavoro dell’attore, dalla delusione per uno spettacolo o un film non riusciti c’è l’opportunità di confrontarsi con se stessi e aprirsi a qualche nuova direzione»), all’importanza dello studio; dalla necessità di ascoltare («è un termine che ricorre spesso nel libro, è la disposizione dell’anima»), al rapporto con il corpo («non ho un rapporto facile con il mio, nonostante mi dicano che sono bella. Conta lo sguardo interno che resta critico»).

 

Sul metodo di recitazione: «Si può scomparire in un personaggio o offrire se stessi, io preferisco il primo metodo ma penso che siano compatibili».

 

Tra i personaggi nei quali si è abbandonata completamente cita quello interpretato in teatro in “Chi ha paura di Virginia Woolf” con la regia di Antonio Latella: «Qui ho sicuramente avvertito un gioioso abbandono nell’elemento, la possibilità di nuotare nella storia senza pensare è qualcosa di meraviglioso. Nel cinema, sono stata completamente Giulia in La meglio gioventù e, più recentemente, Maria Bergamas nel docufilm per la televisione La scelta di Maria».

 

“Com’è vivere con un attore?”, le ha chiesto Paolo Mereghetti, (l’attrice è sposata con Fabrizio Gifuni con il quale hanno due figli). «Vuol dire continuare sempre a scambiarsi emozioni – ha risposto – riflessioni, entusiasmi, le fragilità che hanno a che fare con il nostro mestiere. Il mio sguardo su di lui o viceversa è quello più temuto».

 

Dalle domande del pubblico che hanno concluso l’incontro, il riferimento ai due personaggi che le hanno dato la popolarità presso il grande pubblico, la fidanzata del Commissario Montalbano e la dottoressa Sironi in “Quo Vado” con Checco Zalone.

«Quando mi fu proposto il personaggio di Livia in Montalbano non mi sono percepita come una che entrava in corsa per un personaggio che aveva già una sua riconoscibilità, non sapevo in che pasticcio mi stavo mettendo. Era una figura di culto, nel bene e nel male ma alla fine, pur dopo essere stata odiata, è diventata la più difesa dal pubblico, ha avuto la sua rivincita».

«Con la dottoressa Sironi mi sono tuffata dopo essermi tanto divertita leggendo il copione. Facevo il mio ingresso nella commedia in grande stile. Ma il timore era quello di entrare in un genere di comicità che era tanto legata a Luca Medici. Ancora una volta mi sono messa in ascolto, andando dietro la sua sottile musicalità. Il risultato è che ancora ieri, qui a Bari, mi hanno salutato chiamandomi ‘Dottoressa!’»

 

Sonia Bergamasco tornerà sul palco del Teatro Petruzzelli stasera per ritirare il Federico Fellini Platinum Award del Bif&st 2023.

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