21 marzo GLI AMANTI PASSEGGERI – curosità

SINOSSI

Un gruppo di variopinti personaggi vive una situazione a rischio su un aereo diretto a Città del Messico.

 

Un guasto tecnico – una negligenza giustificabile per quanto questo possa sembrare assurdo (ma le azioni umane spesso lo sono) – mette in pericolo la vita delle passeggeri del volo 2549 della compagnia Península.

 

I piloti fanno il possibile per trovare una soluzione insieme ai loro colleghi  della Torre di Controllo. Intanto, gli assistenti di volo e il responsabile di cabina, personaggi strani e quasi barocchi, di fronte al pericolo, cercano in ogni modo di mettere da parte le loro vicende personali per garantire ai passeggeri il miglior viaggio possibile, in attesa di una soluzione.

 

La vita tra le nuvole è complicata come lo è sulla Terra e per le soliti due ragioni sostanziali: il sesso e la morte.

 

Tra i passeggeri troviamo: una coppia di novelli sposi, due coatti sfiniti dai bagordi della loro festa di nozze; un finanziere truffatore senza scrupoli e padre desolato per l’abbandono della figlia; un dongiovanni impenitente, con la coscienza sporca, intento a scaricare alcune tra le sue tante donne; una veggente rurale; una regina della cronaca rosa e un messicano che nasconde un grande segreto. Tutti hanno progetti di  lavoro o di fuga a Città del Messico e tutti sembrano avere un segreto da nascondere.

 

L’impotenza di fronte al pericolo scatena tra i passeggeri e l’equipaggio una catarsi generale che rappresenta il  miglior modo per sfuggire al pensiero della morte.  Questa catarsi, che si sviluppa con toni da commedia svitata e morale, riempie il tempo di confessioni sensazionali, che aiutano i personaggi a dimenticare l’angoscia del momento.

 

 

 

RISVEGLIO A  LA MANCIA

 

Un aereo decolla da Barajas a metà pomeriggio. Un’ora e mezza più tardi vediamo che i passeggeri che viaggiano in Economy sono tutti misteriosamente addormentati e quelli che viaggiano in Business sono in stato di tensione perché intuiscono che sta succedendo qualcosa.  (In verità sta succedendo di tutto, sebbene l’equipaggio abbia l’ordine di non farne parola).

 

Di notte, l’aereo atterra in modo imprevisto in un aereoporto fantasma costruito nel mezzo della pianura mancega, di fronte alla perplessità dei conigli che scorrazzano tra le piste.

 

Tutti i passeggeri hanno ingerito un qualche tipo di droga. La differenza è che in Economy  i piloti hanno dato ordine di drogare i passeggeri con ansilotici, in modo da risparmiarsi proteste e rimostranze della classe più affollata. Mentre i passeggeri della Business sono stati narcotizzati usando una vecchia  combinazione degli anni ’80, l’ Acqua di Valenza (champagne, vodka, e succo di arancia) mischiata ad una buona dose di mescaline sintetiche.  Una miscela che rende la gente più socievole (ti ritrovi a parlare a ruota libera senza curarti del tuo interlocutore), disinibisce ed eccita sessualmente.

 

Oltre a voler ricordare uno dei momenti di maggior libertà in Spagna, gli anni ’80, il film rende omaggio agli elisir che venivano assunti dai personaggi nella letteratura classica e che poi davano luogo a comportamenti straordinari, che altrimenti non sarebbero stati possibili.

 

 

L’IPPODROMO E IL LABIRINTO (Il cielo sopra Toledo)

 

La vicenda si dipana in uno spazio astratto, in continuo cambiamento, ma identico a se stesso: lo spazio celeste che nell’aviazione è noto come l’Ippodromo, un’ellisse che sorvola a 5000 metri di altezza la città di Toledo. L’Ippodromo è la zona di transito e di destinazione degli aerei che, per un problema, sono in attesa che gli venga assegnata una pista per effettuare un atterraggio di emergenza, come nel caso del PE 2549.

 

Nell’Ippodromo si può restare per ore continuando a girare attorno all’ellisse. Il tempo di attesa, per avere una pista, in genere non supera una o due ore, ma i passeggeri del nostro volo non hanno fortuna: all’areoporto di Barajas c’è il blocco dello spazio aereo a causa di un vertice di sicurezza dell’ONU; a Valenza si svolge la finale del campionato di Formula 1; a Siviglia il campionato mondiale di motociclismo, ecc. Può essere che il paese stia vivendo una grave crisi economica (parola che deliberatamente non viene mai pronunciata nel corso del film) però tutti i suoi aereoporti sono intasati da eventi ludici e sportivi, o di alta sicurezza internazionale. Non c’è una sola pista libera. La Spagna è il centro del mondo.

 

Esiste però un altro tipo di aereoporti, nati dall’unione tra la  megalomania della politica e la mancanza di scrupoli del settore finanziario, opere talvolta faraoniche e perfettamente inutili. Ma il film non parla di questo, sebbene uno dei suoi personaggi, il Dottor Más (Il Dottor Più) il finanziere, fugga da uno scandalo di malversazione in cui è coinvolta la Cassa di Risparmio di cui è presidente.

 

Il film non è una commedia realista, né surrealista, né neorealista, piuttosto una commedia irrealista e metaforica. Il racconto trascorre principalmente in un luogo ipnotico e labirintico: il cielo sopra Toledo. L’aereo gira e rigira, non è difficile ravvisare in questo una metafora della società spagnola, guidata dal suo attuale governo, che vive una situazione di rischio galoppante, e che si vede obbligata ad un atterraggio di fortuna, senza neanche sapere dove avverrà. Dal momento in cui è stato girato, il valore metaforico del film è cresciuto con gli ultimi avvenimenti che hanno scosso la classe politica e le istituzioni spagnole.

 

Una delle difficoltà delle riprese era che, per ragioni di sicurezza, non è consentito girare in aereoporti attivi. Ma abbiamo avuto la fortuna di trovare la pista più lunga mai costruita in Spagna, totalmente vuota, non solo la pista ma tutte le dipendenze di un aereoporto intero  a nostra completa disposizione, uno di quei 17 aereoporti spagnoli (secondo il nostro Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture)senza senso, né uso: nella finzione, l’aereoporto di La Mancia. Gli spazi immensi all’interno dell’aereoporto reale, deserti, fantasmatici sono diventati la migliore metafora del fantasmatico viaggio del volo PE 2549, un viaggio senza destinazione, che dopo mille vicissitudini atterra nel presente dei personaggi, un inelubibile presente.

 

L’evacuazione avviene su una bianca nube di spuma circonfusa anch’essa da un vaporoso alone metaforico, il luogo intermedio tra la terra e il cielo, tra la vita e la morte, la menzogna e la verità, la paura e la forza d’animo.

 

 

COMMEDIA

 

La scrittura delle prime pagine della sceneggiatura possedeva l’effervescenza dei testi che scrivevo negli anni ’80. La prima cosa che ho scritto sono state le scene della cabina e del galley, la minuscola zona dove vivono gli assistenti di volo prestando ogni tipo di servizi. Erano deliberatemente deliranti, senza altro intento che quello di divertirmi mentre le scrivevo.  Quando  ho deciso che quei primi fogli mi interessavano abbastanza da volerli trasformare in una sceneggiatura, lo stile che avevo in mente era la commedia screwball americana, la commedia svitata degli anni ’30 e ’40. Scene con  molti personaggi in spazi ridottissimi: un responsabile di cabina alcolista che non può mentire, un autentico fondamentalista della sincerità; molta promiscuità e molta sfrontatezza tra equipaggio e piloti; un truffatore in guanti bianchi in piena fuga; personaggi che o nascondono grandi secreti oppure dormono; un telefono che scivola dalle mani  di una donna suicida e va a cadere nel cestino della biciclettadi un’altra donna che casualmente è innamorata dello stesso uomo di cui è innamorata la suicida.

 

Alcol, droghe, grandi catarsi ed esplosioni sessuali. Insomma, una commedia svitata. Ma anche una commedia morale, senza però formulare giudizi e lasciando che i personaggi rimangano uguali a se stessi fino alla fine. Il truffatore continua ad essere un truffatore, ma dopo aver fatto qualche giro in aria, senza una rotta e con tutto il tempo per meditare su quanto lascia in terra, prende coscienza del fatto che invece di fuggire preferisce tornare a casa e ritrovare la figlia prodiga che non vede da anni, sebbene la polizia lo stia aspettando al suo rientro. In carcere sarà più vicino alla sua famiglia che in un paese tropicale, sotto un albero di cocco.

 

La morale alla fine è che personaggi hanno imparato qualcosa su se stessi e non mentono più a sé stessi e agli altri. Questo è il grande risultato di un viaggio il cui unico senso è la sopravvivenza.

 

 

MITOLOGIA

 

Come il filo di Arianna aiuta Teseo a non perdersi nel labirinto del feroce Minotauro, così il destino tesse un filo imprevedibile che collega i vari passeggeri ad altri persone, rimasti a terra, o agli altri passeggeri del volo.

Un filo, telefonico e non, unisce il triangolo formato da Guillermo Toledo, Paz Vega e Blanca Suarez, due ex amanti abbandonate dallo stesso don Giovanni, da Ricardo Galán. Lo stesso filo porta Ruth all’aeroporto de La Mancia per liquidare la sua storia con il Galán e consegnargli una valigia piena di ricordi infranti e fa sì che la ricattatrice interpretata da Cecilia Roth incontri nell’aereo il killer assoldato per ucciderla all’arrivo a Città del Messico.

 

L’Ippodromo è il labirinto mitologico che l’aereo con i passeggeri continua a percorrere e l’aeroporto fantasma di La Mancia è la naturale destinazione del suo volo fantasmatico. 

 

 

IL TEATRO E LA PAROLA

 

Il filo di Arianna a cui mi riferivo è la parola, balsamica e spettacolare. La parola di fronte al Minotauro che rappresenta il vuoto, la paura, l’incertezza e la morte. I passeggeri sono scollegati, non possono parlare attraverso i cellulari,  né vedere film sugli schermi, né usare tutti quegli apparecchi che sono diventati ormai un’estensione di noi stessi. La disconnessione, la mancanza di collegamento, rappresenti la maggiore solitudine che oggi si possa immaginare. La sceneggiatura è strutturata quasi sempre in monologhi, o conversazioni telefoniche attraverso l’unico telefono pubblico funzionante. Il tessuto creato da questa catarsi orale avvolge i passeggeri, li fa divertire e li libera. Le tendine rosse plissettate che separano il galley dalla classe Business o dalla Economy ricordano volutamente il sipario di un teatro. Il personaggio che si trova vicino alle tendine generalmente è il protagonista del momento, e da una parte e dall’altra ci sono gli spettatori, il resto dei passeggeri e l’equipaggio.

 

Dei tanti schermi dei tanti apparecchi con cui conviviamo non ho potuto evitare gli schermi più grandi, quelli delle televisioni sulle pareti dell’aereo. Ma poiché non vi era modo di evitarli ho cercato di portarli almeno sul mio terreno. C’è tutta una dichiarazione di principi in quegli schermi neri. La parola fa riferimento al teatro, ma anche alla televisione, e precisamente alla TV spazzatura. Anche questo genere di programmi si basa sulla parola.

 

Nel secondo monologo, in cui spiega la ragione per cui non può mentire, rifacendosi ad un evento traumatico verificatosi durante un volo (un evento realmente accaduto),  Javier Cámara inizia a parlare collocandosi esattamente al centro dello schermo nero che ha alle spalle, perché volevo che l’immagine ricordasse che televisione e monologo catartico spesso vanno insieme.

 

La televisione è come l’occhio di Dio, è onnipresente, ma in questo volo è un occhio cieco, vuoto, di insondabile negritudine.

 

 

COLORE, LUCE E ALCAINE

 

Nel colore degli interni e del rivestimento esterno degli aerei abbondano i grigi, i beige, i blu e il rosso per le evidenziature (ad eccezione di alcune linee aeree orientali molto più stravaganti e surrealiste). La commedia ammette eccessi e licenze di ogni tipo, ma per svitata che sia, anche la commedia ha regole ben precise. Non tutto è ammesso, anzi, la commedia è il genere che esige maggiore precisione e rigore.

 

Sin dall’inizio ho rifuggito dalla tentazione di orientalismi e “pop-ismi” estremi, pur avendo scoperto alcuni fantastici esempi durante il processo di documentazione. In realtà gli interni degli aerei sono per lo più neutri, se non decisamente brutti. Nel film l’80% dell’azione si svolge all’interno di un aereo. È la scenografia principale, per cui bisognava inventarsi una linea corporativa completa per la Compagnia Península, dalle divise dell’equipaggio alla moquette, fino al design della tappezzeria dei sedili, che in fin dei conti sono anch’essi protagonisti del film insieme agli attori. Era importante che sembrasse una linea possibile e non troppo assurda, che venisse bene in fotografia e non annoiasse.

 

Abbiamo curato i colori della poltrona della Business come se fossero i protagonisti del film. Ma il colore è luce, e questa è la prima volta che giro con macchine digitali. Abbiamo fatto delle prove per evitare durezze sui volti e perchè i toni pastello dell’insieme non risultassero leziosi. José Luis Alcaine, che mi conosce bene, sa che alla fine propendo per un’atmosfera cromatica alla Hitchcock: infatti il maestro della suspense era anche un maestro del colore.

 

Non ho notato una grande differenza nella meccanica delle riprese con il digitale, sebbene personalmente continui a considerarmi un regista analogico. La tecnica digitale offre possibilità infinite ma va usata con senso analogico, altrimenti c’è il rischio che l’immagine risulti troppo piatta, tersa ed irreale, si riducano le gamme dei grigi, e le penombre si trasformino in buchi neri. Per risolvere tutti questi problemi non c’è nulla di meglio che impiegare un direttore della fotografia con grande esperienza analogica. José Luis Alcaine è un maestro della luce che appartiene ad una generazione in via di estinzione. Il suo lavoro è stato determinante affinché mi avventurassi nel mondo delle riprese digitale. Alcaine ha girato in digitale con l’equivalente di una pellicola da 1600 ASA, in modo che l’immagine mantenesse la porosità del negativo e l’atmosfera vibrasse come un tutt’unico.

 

 

ATTORI

 

Gli attori sono sempre la cosa più importante, ma in una commedia lo sono ancor di più. I tempi della commedia non si possono imparare né insegnare, non esiste una tecnica speciale, li si possiede oppure no. I membri del numeroso cast di “Gli amanti Passeggeri” li possiedono.

 

Come dimostra la recente commedia di Cesc Gay, “Una pistola en cada mano”, film anch’esso corale, il livello degli interpreti spagnoli oggi è straordinario. Durante le riprese mi sono sentito come immagino dovesse sentirsi Berlanga negli anni cinquanta e sessanta, circondato da attori geniali di ogni genere ed età. Siamo tornati ad un’epoca di attori fantastici come i meravigliosi López Vázquez, Manuel Aleixandre, Luis Ciges, María Luisa Ponte, Rafaela Aparicio, Saza, Laly Soldevila, ecc . ecc. In “Gli Amanti Passeggeri” ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni dei nostri migliori attori. Molti sono nuovi per me (Carlos Areces, Raúl Arévalo, Hugo Silva, Miguel Ángel Silvestre, Guillermo Toledo, José María Yazpik, Laya Martí, Pepa Charro…) e gli altri li ho ritrovati con immensa allegria  (Cecilia Roth, Lola Dueñas, Javier Cámara, Penélope Cruz, Susi Sánchez, Blanca Suárez, Paz Vega, Carmen Machi, Antonio Banderas, Antonio de la Torre, José Luis Torrijos).

 

Si sono divertiti molto a lavorare gli uni con gli altri e sono stati sempre molto generosi con il film.

 

 

MUSICA. CANZONI

 

Mentre scrivevo la sceneggiatura ho scoperto le cumbie psichedeliche peruviane, leggermente ispirate alle cumbie originali colombiane, suonate dalle tipice formazioni di chitarre elettriche degli anni ’60. In seguito sono apparsi vari dischi, quello  scoperto da me si chiama “The Roots of Chica”. I gruppi raccolti in questa compilation possiedono il fascino dei primitivi gruppi moderni degli anni ’60, con una nota deliziosamente esotica. Mi sono appassionato. Già in fase di sceneggiatura sapevo che avrei  inserito la versione di “Para Elisa” de Los Destellos.

 

Da tempo ormai volevo aggiungere alla discografia dei miei film il nome di Luiz Bonfá, squisito interprete brasiliano pre-bossa. Per l’inizio di “Gli Amanti Passeggeri” ho scelto la versione della popolare “Malagueña salerosa”, che nella chitarra di Luiz Bonfá suona delicata, sottile, atmosferica, un lounge sofisticato che ci introduce con eleganza nel genere del film.

 

A metà del film, proprio nel momento in cui la narrazione in genere attraversa un momento “di fiacca” per poi tornare a risalire, mi è venuto in mente di inserire il playback coreografato di “I’m so excited” delle Pointer Sisters. Con il ballo dei tre assistenti di volo nella Business Class, non solo scompare il momento di fiacca, ma la narrazione si eleva raggiungendo uno dei suoi picchi più esilaranti. “Sto perdendo il controllo e mi piace” dicono le Sorelle Pointer. Frase che si adatta perfettamente a quanto sta per avvenire. Blanca Li è l’artefice della divertente coreografia.

 

Nel momento culminante della catarsi erotica ho optato tarantinianamente per il ritmo travolgente di “Skyes over Cairo” del gruppo rivelazione inglese, Django Django.

 

E per finire con una nota da commedia pop, “The look” dall’album “The English Riviera” dei Metronomy risultava assolutamente idoneo.

 

 

COLONNA SONORA. ALBERTO IGLESIAS

 

La musica di Alberto Iglesias è stata una rivelazione per me, anche se lavoriamo insieme da quasi vent’anni. Alberto Iglesias ha usato come riferimenti il lounge haute couture, spugnose atmosfere jazz e ritmi di bossa nova, musica elettronica, orchestrazioni da Big Band e in particolare, per la parte finale, ha composto dei temi da thriller psicologico. In un blocco che dura sei minuti (sei minuti durante i quali i dialoghi svelano diversi segreti dei personaggi e l’emozione cambia continuamente di colore) Alberto ha creato un tema molto versatile che dialoga con i dialoghi dei personaggi e i loro stati d’animo, in una progressione continua (mi riferisco alla situazione che vede come protagonisti Lola Dueñas, Cecilia Roth e José María Yazpik). In genere la musica si sincronizza con i cambiamenti di inquadratura, Iglesias l’ha sincronizzata con le pulsioni dei personaggi all’interno dell’inquadratura. Non è facile neanche spiegarlo.

 

Adoro la facilità con cui ha assimilato la lezione di Bernard Hermann: la corda che trema ad indicare arresto e velocità, che provoca grande inquietudine e che ricorda il mago della suspense. Un’altra delle sue scoperte è una sezione di sax (nulla a che vedere con il lamento del sax topico e nottambulo) perfetta per la commedia, innovativa e molto avvolgente. C’è un riferimento a Mancini, ma molto lieve.

 

 

TITOLI

 

E per concludere, i deliziosi titoli animati sono stati disegnati da Mariscal, insieme all’immagine aziendale della Compagnia Península.   Ho conosciuto Mariscal negli anni ’70, quando giravo in superotto e lui faceva parte del gruppo di disegnatori di fumetti underground “El rollo enmascarado”. Nel ’78 ha illustrato un mio romanzo breve “Fuego en las entrañas”.  Nonostante la sua vertiginosa carriera di disegnatore fino ad oggi non mi era mai capitato di lavorare insieme a Mariscal che, ho scoperto con piacere, conserva ancora la bonarietà ed il candore di 35 anni fa. Se fosse esistita la Compagnia Península di sicuro gli avrebbero affidato il design della sua immagine corporativa.

 


 

BIOFILMOGRAFIA DE PEDRO ALMODÓVAR

 

Nasce negli anni cinquanta a Calzada de Calatrava, in provincia di Ciudad Real, nel cuore profondo de La Mancia. Ad otto anni emigra con la famiglia in Estremadura, dove frequenta le scuole elementari e le superiori rispettivamente presso i Padri Salesiani e i Francescani.

 

A diciassette anni si rende indipendente dalla famiglia e va a vivere a Madrid, senza soldi e senza lavoro, ma con un progetto molto concreto: studiare e fare cinema.  Iscriversi alla Scuola Ufficiale di Cinema risulta però impossibile perché la stessa viene chiusa dal regime Franchista. Nonostante l’asfissia della dittatura, per un adolescente di provincia Madrid rappresenta la cultura, l’indipendenza e la libertà. Svolge molteplici e sporadici lavori, ma non può comprarsi la una macchia da presa in Super 8 fino al momento in cui ottiene un lavoro “serio” presso la Compañía Telefónica Nacional de España nell’anno 1971. Per dodici anni lavora presso la C.T.N.E. come aiuto contabile nell’amministrazione, affiancando al lavoro della mattina altre attività che portano alla sua formazione come cineasta e come persona.

 

Le mattine, grazie al lavoro in Telefónica, ha modo di conoscere a fondo la classe media spagnola degli inizi dell’epoca dei consumi, gli anni 70, i suoi drammi e le sue miserie: un intero filone a disposizione di un futuro narratore. Nei pomeriggi e di notte scrive, ama, fa teatro con il mitico gruppo indipendente Los Goliardos, gira film in super 8 (la sua unica scuola come cineasta). Collabora con diverse riviste underground, scrive racconti che vengono pubblicati. E’ membro di un gruppo parodistico punk-rock, Almodóvar e McNamara. La sua esplosione professionale coincide con l’esplosione della Madrid democratica della fine degli anni ’70, inizio ’80. Quella che nel mondo venne chiamata La Movida. Il suo cinema è figlio e testimonianza della neonata democrazia spagnola. Nel 1980 esce “Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del gruppo” un film a costo quasi zero, realizzato in cooperativa con il resto della troupe, tutti  debuttanti, tranne Carmen Maura.

 

Nel 1986 fonda con suo fratello Agustín la società di produzione El Deseo S.A. Il suo primo progetto è “La legge del desiderio” (“La ley del deseo”). Da allora hanno prodotto  tutti i film che Pedro ha scritto e diretto, oltre a realizzare i progetti di altri giovani registi.

 

Il riconoscimento internazionale arriva con “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” (“Mujeres al Borde de un ataque de nervios”), nell’88. Da allora i suoi film hanno raggiunto ogni angolo del mondo. Con “Tutto su mia madre” (“Todo sobre mi madre”) ottiene il suo primo Oscar come migliore film straniero, oltre al Golden Globe, il César, 3 Premi EFA, il David di Donatello, 2 Bafta, 7 Goya e altri 45 premi. Tre anni dopo “Parla con lei” (“Hable con ella”) ottiene un successo ancora maggiore (Oscar alla migliore sceneggiatura , 5 premi EFA., 2 Bafta, il Nastro d’ Argento, il César e molti altri premi in tutto il mondo tranne in Spagna).

 

Produce quattro film molto speciali, apprezzati in tutto il mondo per il loro coraggio e la loro delicatezza: “La mia vita senza di me” (“Mi vida sin mi”) , “La niña santa”, “La vita segreta della parole” (“La vida secreta de las palabras”) e “La mujer sin cabeza”, di Isabel Coixet e Lucrecia Martel.

 

Nel 2004 “La mala educación” è stata scelto per inaugurare il Festival di Cannes. Raccoglie critiche straordinarie in tutto il mondo e riceve numerose candidature (Independent Spirit Awards, Bafta, César, EFA) vincendo il prestigioso premio per il Miglior Film Straniero del Circolo dei Critici di New York, nonché il Nastro d’Argento.

 

Nel 2006 riceve il Premio Principe delle Asturie per le Arti. Lo stesso anno è in competizione al Festival di Cannes con “Volver” e ottiene il Premio per la migliore sceneggiatura e la miglior interpretazione femminile a tutte le attrici del film, capeggiate da Penélope Cruz. Vince anche altri 5 premi EFA, 5 premi Goya, il premio Fipresci, il National Board of Review, tra i tanti (per un totale di 72). Penélope è stata candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista, prima volta che per attrice spagnola, in un film di lingua spagnola. Ad oggi, “Volver”  è, tra i suoi film, quello che ha ottenuto i maggiori incassi.

 

Nel 2009 arriva sugli schermi “Gli abbracci spezzati” “Los abrazos rotos”), film con il quale compete di nuovo al Festival di Cannes. E’ stato candidato ad un’infinità di premi ottenendo tra gli altri, il Critic’s Choice Award e il Satellite Award di Los Angeles per il miglior film in lingua straniera. Nello stesso anno Almodóvar riceve la laurea Honoris Causa dalla prestigiosa Università di Harvard.

 

Nel 2011 gira “La pelle che abito” (“La piel que habito”), e participa alla Sezione Officiale del Festival di Cannes, dove ottiene il Premio alla Migliore Fotografia e il Premio della Gioventù. Il film viene presentato con grande successo anche al Festival di Toronto che a quello di New York . Candidato ai Golden Globe come Miglior Film Straniero, ha ottenuto il BAFTA nella stessa categoria. Elena Anaya ha vinto il Fotogrammi d’Argento come migliore attrice mentre il film ha ottenuto 4 Premi Goya, oltre al Saturn Award, all’Associazione dei Critici di Florida, di Washington e dell’Indiana, nonché molteplici candidature nazionali e straniere.

 

 

1974/1979 Vari film di diversa durata in Super 8, Compresi alcuni in 16 mm (Salomé)

1980 Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (Pepi, Luci, Bom y otras chicas del montón) LM

1982 Labirinto di passioni (Laberinto de Pasiones) LM

1983 L’indiscreto fascino del peccato (Entre tinieblas) LM

1984-85 Che ho fatto io per meritare questo? (¿Qué he hecho yo para merecer esto?) LM

1985 Tráiler para amantes de lo prohibido (Mediometraggio in video, per la TVE)

1985-86 Matador LM

1986 La legge del desiderio (La ley del deseo) LM

1987 Donne sull’orlo di una crisi di nervi (Mujeres al borde de un ataque de nervios) LM

1989 Legami! (Atame!) LM

1991 Tacchi a spillo (Tacones lejanos) LM

1992 Azione mutante (Acción mutante) (Produttore) LM

1993 Kika – Un corpo in prestito (Kika) LM

1995 Il fiore del mio segreto (La flor de mi secreto) LM

1997 Carne Tremula (Carne trémula) LM

1999 Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre) LM

2000 La spina del diavolo (El espinazo del diablo) (Productor) LM

2001 Parla con lei (Hable con ella) LM

2002  La mia vita senza di me (Mi vida sin mí)(Produttore) LM

2003 Descongélate (Produttore) LM

2003 La mala educación  LM

2004 La niña santa (Produttore) LM

2005 La vita segreta delle parole (Produttore) LM

2006 Volver LM

2008 La mujer sin cabeza (Produttore) LM

2009 Gli abbracci spezzati. (Los abrazos rotos) LM

2011 La pelle che abito (La piel que habito) LM

 

 

BIOFILMOGRAFIA DEGLI ATTORI

 

ANTONIO DE LA TORRE

 

Nato a Malaga,  Antonio de la Torre agli inizi si è dedicato al giornalismo per poi tentare la sorte nel mondo della recitazione.

 

E’ diventato uno degli attori feticcio di Daniel Sánchez Arévalo, con cui a girato tutti i suoi film. “AzulOscuroCasiNegro” (2006) gli è valso il Goya come miglior attore non protagonista e “Gordos” (2009), per il quale è ingrassato più di trenta chili, gli è valsa una candidatura come meglior attore. Fa parte del cast di “La gran familia española”,  di prossima uscita.

 

Un altro dei suoi registi abituali è Álex de la Iglesia, con il quale ha lavorato  in “Muertos de risa” (1999), “La comunidad – Intrigo all’ultimo piano” (“La comunidad”) (2000), “Ballata dell’odio e dell’amore” (“Balada triste de trompeta”) (2010), con il quale ha ottenuto una candidatura ai Goya come miglior attore protagonista, o “La fortuna della vita” (“La chispa de la vida”).

 

Ha anche lavorato regolarmente con Iciar Bollaín, Félix Sabroso e Dunia Ayaso e Manuel Martín Cuenca, con il quale sta girando “Canibal”. E’ stato candidato nell’ultima edizione dei Goya come miglior attore protagonista per “Grupo 7” (2012), di Alberto Rodríguez, e miglior  attore non protagonista  per “Invasor” (2012), di Daniel Calparsoro.

 

 

HUGO SILVA

 

Sebbene avesse iniziato a lavorare come elettricista, sua madre lo ha convinto a seguire il suo sogno di diventare attore. Ha avuto la sua prima opportunità nell’ormai mitica serie televisiva “Al salir de clase”, vivaio di un’intera generazione del cinema spagnolo. Ma sarebbe stato soltanto in seguito, con un’altra serie televisiva “Los Hombres de Paco”, che sarebbe assurto al rango di star.

 

Da allora ha inanellato un film dopo l’altro: “Reinas – Il matrimonio che mancava” (“Reinas”) (2004) di Manuel Gómez Pereira, “El hombre de arena” (2006) di José Manuel González, il film di enorme successo “Mentiras y gordas” (2008) di David Menkes e Alfonso Albacete, “Que se mueran los feos” (2010) di Nacho García Velilla e la deliziosa commedia romantica “Lo contrario al amor” (2011) de Vicente Villanueva. Attualmente trionfa ai botteghini di Spagna con “El Cuerpo” (2012), di Oriol Vila.

 

Oltre ai suoi svariati lavori cinematografici e televisivi, nel 2009 ha recitato anche nel galattico  “Hamlet” per la regia di Tomaz Pandur.

 

MIGUEL ÁNGEL SILVESTRE

Miguel Ángel era destinato ad essere un tennista professionista, ma una lesione alla spalla ha messo fine alla sua carriera sportiva. Dopo aver mosso i primi passi come modello, ha cominciato a lavorare come attore in diverse produzioni teatrali e serie televisive. Ed è stata proprio la serie televisiva “Sin tetas no hay paraíso” a catapultarlo alla fama. Oltre a valergli diversi premi, quali il Fotogrammi d’Argento come migliore attore di televisione, il Premio Ondas come miglior attore di fiction televisiva nazionale nel 2008 o il premio Camaleón de Honor al miglior attore rivelazione per la televisione nella nona edizione del Festival di Islantilla, il personaggio del “Duca” ha trasformato Silvestre, dal giorno alla notte,  in uno degli attori più richiesti del panorama nazionale.

 

In precedenza si era fatto notare per il suo lavoro in “Combattere o morire” (“La distancia”) (2006), di Iñaki Dorronsoro, che gli è valso il premio Un Futuro de Cine nella 22ª edizione del Festival Cinema Jove di Valenza e il premio al miglior attore esordiente al Festival di Tolosa. Ha lavorato inoltre con Eduardo Chapero Jackson in “Verbo” (2011), con Mariano Barroso in “Lo mejor de Eva” (2012) o con José Luis Cuerda in “Todo es silencio” (2012) e ha partecipato alla produzione italiana “L’imbroglio nel lenzuolo” (2008) di Alfonso Arau. Lo vedremo prossimamente sugli schermi in “Alacrán enamorado” di Santiago Zannou.

 

 

JAVIER CÁMARA

 

Javier Cámara ha alle spalle una lunga e variegata carriera, sia nel cinema  che in televisione e teatro, costellata da grandi successi di pubblico e di critica. 

 

Il suo primo riconoscimento televisivo gli è venuto dalla serie “¡Ay, Señor, Señor!”, alla quale è seguito il successo ancora più grande e per più stagioni, di “7 vidas” (Fotogrammi d’argento al miglior attore televisivo nel 1999). Con alcuni compagni di quest’ultima serie ha prodotto ed interpretato la versione teatrale di “Come nelle migliori famiglie” (Agnès Jaoui e Jean-Pierre Bacri) nel 2003 con il quale ha vinto i Fotogrammi d’ Argento al miglior attore di teatro.

 

Ha unito il cinema d’ autore (“Lucía y el sexo” (2000), Julio Medem; “Torremolinos 73” (2003), Pablo Berger; “Malas temporadas” (2005), Manuel Martín Cuenca; “Una pistola en cada mano” (2012), Cesc Gay) al cinema più commerciale (“Torrente: el brazo tonto de la ley” (1998), Santiago Segura; “Il destino di un guerriero” (“Alatriste”) (2006), Agustín Díaz Yanes; “Fuori menù” (“Fuera de carta”) (2008), Nacho García Velilla; “Que se mueran los feos” (2010) di Nacho García Velilla).

 

“Parla con lei” (“Hable con ella”) (2002), di Pedro Almodóvar, ha portato a una svolta nella sua carriera. Il suo primo ruolo drammatico da protagonista gli è valso premi e candidature in tutto il mondo (comprese la candidature come miglior attore ai Goya e agli EFA). Almodóvar lo ha voluto di nuovo con sè nel ruolo de La Paca in “La mala educación” (2004) e ne “Gli amanti passeggeri” gli ha costruito un ruolo su misura.

Sta per arrivare sugli schermi “Ayer no termina nunca”, di Isabel Coixet, con la quale ha lavorato anche ne “La vita segreta delle parole” (“La vida secreta de las palabras) (2005).

 

 

CARLOS ARECES

 

Già a scuola si era fatto conoscere come illustratore, vendendo caricature dei suoi professori durante la ricreazione. Questa sua capacità lo ha portato a studiare Belle Arti, dove ha conosciuto quelli che in seguito sarebbero stati i suoi compagni nei programmi televisivi di culto “La hora chanante”,  Muchachada Nui” e “Museo Coconut”. L’umorismo assurdo di questi programmi e le imitazioni di  Areces lo hanno trasformato in un’icona. Il gruppo musicale  di subnopop (pop subnormale) che ha formato insieme a Aníbal Gómez, Ojete Calor, con il quale a breve  pubblicherà il disco “Delayed” (nel senso di “Ritardati”) riaffermerà sicuramente il suo status nel mondo del sottogenere.

 

Sebbene la sua filmografia sia breve, ha già avuto tempo di lavorare con Alex de la Iglesia nella serie televisiva “Plutón B.R.B. Nero” (2008), in “Ballata dell’amore e dell’odio” “Balada triste de trompeta” (2010) (con la quale ha vinto il premio Sant Jordi come migliore attore insieme al collega Antonio de la Torre) e in “Las brujas de Zugarramundi”, di prossima uscita. Ha participato inoltre a “Spanish Movie” (2009) di Javier Ruíz Caldera, “Extraterrestre” (2011) di Nacho Vigalondo e “Lobos De Arga” (2011) di Juan Martínez Moreno.

 

 

RAÚL ARÉVALO

La carriera di Raúl Arévalo porta il marchio di Daniel Sánchez Arévalo. E’ stato lui ad offrirgli il suo primo ruolo importante in “AzulOscuroCasiNegro” (2006), che gli è valso il premio de la Unión de Actores come miglior attore rivelazione. La collaborazione è continuata con “Gordos” (2009), con la quale ha vinto il Goya al miglior attore non protagonista, e “Primos” (2011), per il quale nuovamente è stato premiato dalla Unión de Actores, questa volta come miglior attore non protagonista.

Ha fatto parte del cast di “El camino de los ingleses” (2006), di Antonio Banderas; “Siete mesas de billar francés” (2007), di Gracia Querejeta; “Los girasoles ciegos” (2008), di José Luis Cuerda; e “Promoción fantasma” (2012), di Javier Ruiz Caldera.

Attualmente trionfa nella serie televisiva “Con el culo al aire” e prepara, insiema a Javier Cámara “La vida inesperada”, di Jorge Torregrosa.

 

 

JOSÉ MARÍA YAZPIK

 

Sebbene sia la prima volta che Pedro Almodóvar lavora con l’attore  messicano, non si tratta della prima incursione di Yazpik nel cinema spagnolo, dove già si era fatto notare in “Sólo quiero caminar” (2008) di Agustín Díaz Yanes.

I suoi primi ruoli importanti gli vengono dalla televisione, e precisamente nella veste dello spasimante in diverse telenovelas messicane. Da lì è passato al cinema, partecipando tra gli altri a  “La habitación azul” (2002) di Walter Doehner, “Sin ton ni Sonia” (2003) di Carlos Sama, “Nicotina” (“Nicotina”) (2003) di Hugo Rodríguez o “Las vueltas del citrillo” (2006) di Felipe Cazals, per la quale ha vinto il premio Ariel per la migliore cointerpretazione maschile. Ha inoltre partecipato agli esordi dietro la macchina da presa di Guillermo Arriaga, “Lejos de la tierra quemada” (2008), e Diego Luna, “Abel” (2010).

 

 

GUILLERMO TOLEDO

 

Noto anche come Willy Toledo, ha iniziato la sua preparazione di attore nella prestigiosa scuola di Cristina Rota, insieme ad  Ernesto Alterio e Alberto San Juan, con i quali ha fondato la compagnia teatrale Animalario. Oltre alle produzioni (“Alejandro y Ana: todo lo que España no pudo ver del banquete de boda de la hija del presidente” di Juan Mayorga e Juan Cavestany, “Últimas palabras de Copito de Nieve” di Juan Mayorga, “Hamelin” di Juan Mayorga, “Urtain” di Juan Cavestany), Animalario ha portato sulla scena  adattamenti  da altri autori (“Marat/Sade” di Peter Weiss, “Arlecchino, servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, “Tito Andronico” di William Shakespeare o “Il calapranzi” di Harold Pinter). Con queste opere hanno ottenuto tutti i premi teatrali possibili e immaginabili in Spagna.

 

Contemporaneamente, Guillermo Toledo acquista grande popolarità per il suo attivismo poltico (non sempre esente da polemiche) e la sua partecipazione alla  serie televisiva di successo “7 Vidas”, e al film “L’altro lato del letto” (“El otro lado de la cama”) (2002), di Emilio Martínez Lázaro, e al suo sequel “Los dos lados de la cama” (2005).

 

La sua estesa carriera cinematografica include: “Al sur de Granada” (2003) di Fernando Colomo, “Días de fútbol” (2003) di David Serrano, “Crimen Ferpecto” (2004) di Alex de l

a Iglesia (per la quale ha avuto al candidatura al Goya come miglior attore) o “After” (2010) di Alberto Rodríguez (per il quale ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Tolosa).

 

 

 

 

 

LOLA DUEÑAS

 

Questa è la quarta collaborazione di Lola Dueñas con Pedro Almodóvar, dopo il primo film “Parla con lei” (“Hable con ella”) (2002), l’indimenticabile ruolo di Sole di “Volver” (2005), che le è valso, tra molti altri, il premio alla migliore attrice al Festival di Cannes insieme alle altre attrici del cast, e il ruolo di lettrice labiale in “Gli abbracci spezzati” (“Los abrazos rotos”) (2009).

 

Ramón Salazar e Javier Rebollo sono altri registi chiave della sua filmografia. Con loro ha lavorato, rispettivamente, in “Piedras” (2002), “20 centimetri” (“20 centímetros”) (2005) e “10.000 noches en ninguna parte” ( non uscito ancora nelle sale), e “En camas separadas” (2003) e “Lo que sé de Lola” (2005).

 

“Mare dentro” (“Mar adentro”) (2004) di Alejandro Amenábar ha significato per lei un grande successo. Per questo film è stata insignita dei Premi Goya e della Unión de Actores. Lo stesso si è ripetuto con “Yo, también” (2009), di Álvaro Pastor e Antonio Naharro. Quest’ultimo film le è valso anche la Concha de Plata come migliore attrice al Festival di San Sebastián.

 

Ultimamente ha fatto incursioni nel cinema francese “Le donne del sesto piano” (” Les femmes du 6 étage) (2011) di Philippe Le Guay o “La pièce manquante” (di prossima uscita) di Nicolas Birkenstock e risiede felicemente a Parigi.

 

 

CECILIA ROTH

 

Cecilia Roth, fuggita dall’Argentina a causa della dittatura militare, si è stabilita in Spagna nel 1976. Si è inserita rapidamente nella Movida Madrileña e ha lavorato con registi quali Iván Zulueta, “Arrebato” (1980), e lo stesso  Pedro Almodóvar (la protagonista di “Labirinto di passioni” (1982) e collaborazioni in  “Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio”  (1980), “L’oscuro fascino del peccato” (1983) e “Che ho fatto io per meritare  questo?” (1984).  Dopo il rientro definitivo dell’attrice in Argentina, Pedro Almodóvar torna a lavorare con Cecilia Roth, nel suo pieno splendore di attrice, in “Tutto su mia madre” (1999). Oltre a riscuotere un enorme successo internazionale, Cecilia Roth ha ricevuto innumerevoli premi per la sua Manuela nel film, tra cui il Goya, l’EFA o i Fotogrammi d’Argento.

 

Un altro importante regista della sua filmografia è Adolfo Aristarain, che l’ha diretta in “Un posto nel mondo” (“Un lugar en el mundo”) (1992) (premio Cóndor come migliore attrice) e “Martín (Hache)” (1997) (Premi Goya e Cóndor come migliore attrice).

Nel corso di questi anni, Cecilia ha unito la sua carriera in Spagna (“Deseo” (2002) di Gerardo Vera, “La hija del caníbal” (2003) di Antonio Serrano) e in Argentina (“Kamchatka” (2002) di Marcelo Piñeyro, “El nido vacío” (2008) de Daniel Burman), dove ha partecipato inoltre a  numerose serie televisive (“Epitafios”) e adattamenti teatrali di successo – “Una relazione privata” (“Une liaison pornographique”), con Darío Grandinetti,  attualmente sulle scene.

I commenti sono chiusi.