16 gennaio “Nebraska” di Alexander Payne – curiosità

16 gennaio ”Nebraska” di Alexander Payne con Bruce Dern,Will Forte

Sinossi

Un padre e un figlio portano la commedia americana on the road sulle strade di un evanescente Midwest e sulle tracce di un’improbabile fortuna – alla ricerca anche di una comprensione reciproca che un tempo era sembrata impossibile. Questa è la storia della famiglia Grant di Hawthorne, Nebraska. Trapiantato a Billings, nel Montana, il testardo e taciturno Woody (Bruce Dern nel ruolo che gli ha fatto ottenere il premio come miglior attore a Cannes) ha ormai fatto il suo tempo –che per la verità non è stato un granché –e forse si sente un po’ inutile, ma è convinto di aver ricevuto un grosso colpo di fortuna: una lettera che gli comunica di essere il fortunato vincitore del jackpot di una lotteria pari a un milione di dollari. Per reclamare i suoi soldi, Woody insiste di doversi recare immediatamente presso gli uffici della società che gestisce la lotteria a Lincoln, in Nebraska. Un viaggio di 1.200 chilometri che pare molto complicato da affrontare, visto che lui riesce appena a trascinarsi per qualche isolato, e comunque fermandosi spesso a bere qualcosa. Preoccupato per lo stato mentale del padre, tocca a David (Will Forte), il figlio riluttante e perplesso di Woody, accompagnarlo in quel viaggio all’apparenza ridicolo e senza scopo. Eppure il loro strano viaggio finisce col trasformarsi in una specie di moderna odissea familiare. Quando Woody e David faranno una sosta nella loro cittadina di origine, Hawthorne – e la caustica matriarca dei Grant (June Squibb, A proposito di Schmidt) e il figlio anchorman (Bob Odenkirk, Breaking Bad) si uniranno a loro – la storia della fortuna di Woody lo farà sembrare per un momento un eroe che fa ritorno a casa. Poi farà uscire allo scoperto gli avvoltoi. Ma servirà anche ad aprire uno spiraglio sulle vite sconosciute dei genitori di David e su un passato più animato di quanto lui abbia mai immaginato. Girato in bianco e nero, in un cinemascope che riflette la cupa bellezza delle cittadine americane e il contrasto tra i momenti divertenti e quelli commoventi della storia, il film contiene ironiche riflessioni sul tema della famiglia e sui suoi enigmi, su delusione e dignità, sull’autostima e sul semplice desiderio di riscatto.

 

IL REGISTA ALEXANDER PAYNE

 

Spesso considerato un “regista di attori”, Alexander Payne incoraggia i suoi attori a spogliare le loro performance, fino a raggiungere gli elementi essenziali e primari della commedia, della tragedia e dell’umanità. Payne sapeva bene che l’esile storia di Nebraska, incentrata sulle emozioni, avrebbe funzionato solo se sorretta da interpretazioni naturalistiche, grazie ad attori disposti ad assumersi dei rischi. “Alexander è uno che ti dice: vai, rischia pure, che io ti vengo dietro” dice Bruce Dern. “Non vuole una recitazione convenzionale, vuole che i personaggi si trasformino in persone reali. Ti porta fino al punto di tirar fuori quello che hai dentro, le emozioni e le esperienze che ti porti dietro”. Payne ha tratto ispirazione anche da quella che è diventata un’esperienza comune in una società come la nostra, sempre più composta da persone anziane: osservare i genitori che invecchiano in un modo che può rivelarsi allo stesso tempo contraddittorio e rivelatore. “Essendo anch’io figlio di due genitori anziani, mi è stato facile identificarmi con David. Ovviamente non ho mai vissuto situazioni come la sua, ma conosco quello che prova” racconta. “La cosa che mi è piaciuta molto della storia è il desiderio di David di restituire un po’ di dignità a suo padre. E’ un tema importante che sento molto”. E poi c’è il fatto che il film è ambientato nello Stato di cui Payne è originario, cosa che è servita a farlo sentire ancora più immerso nella storia. “Per molti versi questo racconto potrebbe essere ambientato in qualunque posto degli Stati Uniti, ma dato che si svolge in un luogo che conosco bene, mi ha dato modo di tirar fuori molti dettagli” spiega. “Io sono di Omaha, che è più grande della cittadina da cui vengono i Grant, e così il film mi ha dato l’opportunità di esplorare un Nebraska rurale che ha per me qualcosa di quasi esotico”. Nessuno avrebbe dubitato del fatto che Payne avrebbe reso sua la storia dei Grant. “Quando vedi un film di Alexander, capisci subito che non avrebbe potuto essere di nessun altro” dichiara il produttore Albert Berger. “Ha un modo tutto suo di mostrare i comportamenti umani in tutte le loro debolezze e in tutta la loro gloria, che lui riesce a mostrare anche nei momenti in cui la gente si comporta male. Tutti noi ci riconosciamo in quei personaggi”. La facilità ad immedesimarsi con i personaggi della storia dipende in parte anche dal modo in cui Payne lavora con i suoi attori, accompagnandoli nei territori ancora poco battuti delle performance iper-realistiche. “Mi ricorda Preston Sturges e Frank Capra” commenta Dern. “Esamina i comportamenti degli esseri umani e le loro motivazioni. E’ affascinato dal comportamento delle persone e si vede dal modo in cui dirige”. L’altro protagonista, Stacy Keach, sottolinea due elementi che rendono peculiare il lavoro di Payne: “E’ estremamente attento ai dettagli e ha una conoscenza profonda del lavoro degli attori”, prosegue Keach: “Essendo stato attore anche lui, credo che li capisca davvero, e che sappia cosa sono capaci di offrire in termini di sfumature ed emozioni contrastanti espresse nello stesso momento. Per questo è in grado di ispirarci”. Aggiunge Will Forte: “Per me lavorare con Alexander è stata un’esperienza straordinaria. Da un punto di vista tecnico, tutto quello che fa è magnifico. Ma mi ha anche insegnato che la tecnica non basta affatto. Si tratta di essere in grado di costruire un’atmosfera accogliente e familiare, e trattare le persone in modo da farle lavorare in un ambiente stimolante e meraviglioso. Quando lo 5 osservi al lavoro non ti spieghi perché anche tutti gli altri non lavorino allo stesso modo. Mi ha aiutato davvero a dimenticare me stesso mentre interpretavo David”. Il produttore esecutivo George Parra (Il lato positivo, Sideways, Paradiso amaro), che lavora con Payne fin dall’epoca del suo film Election, e che per Nebraska ha lavorato anche come aiuto regista, afferma che per quanto sia rimasto colpito dal modo di dirigere di Payne sul set, è rimasto ancora più meravigliato da come il pubblico reagisce ai personaggi che Payne riesce a creare. “Le persone non vedono l’ora di vedere i suoi film per il suo modo straordinario di cogliere gli aspetti tragici e comici della vita. Le sue commedie contengono dei drammi e viceversa”, sintetizza. “Non sono molti i registi che riescono a farlo in ogni film”.

 

IL SOLITO DERN

Quando ho letto Nebraska per la prima volta ho capito che avrei fatto di tutto per esserne parte” ricorda Bruce Dern. Il ruolo era diverso da qualsiasi altro gli fosse mai stato proposto e Dern si è sentito particolarmente gratificato dal fatto che Payne gli chiedesse di mettere da parte l’immagine cinematografica per cui è conosciuto per esplorare nuovi territori. “Credo che sia stato molto simile a quello che è successo quando ha lavorato con Nicholson per A proposito di Schmidt”, riflette Dern. “Per troppi anni mi è stato detto ‘fai il solito Dern, è quello che ci serve’. Per Jack è lo stesso. Insomma, lui non vuole essere Jack in tutti i film. E io non voglio essere sempre Bruce Dern; Alexander mi ha offerto un’opportunità chiedendomi esattamente il contrario: voleva vedere quello che sarei riuscito a dare al personaggio di Woody, non quello che Woody avrebbe dato a me. L’ho apprezzato molto”. “Con Woody ho potuto fare qualcosa che non avevo mai fatto prima. Non è un ribelle arrabbiato o un killer spietato. Non comporta dover mettere in campo tutti quelle cose alla Dern” dice riferendosi a tutti quei sottili manierismi da cattivo che sa usare alla perfezione “E’ un tipo che vive semplicemente e non vuole cambiare. In un certo senso è il monumento ad un sacco di persone come lui che hanno fatto l’America”. Nel comporre il cast di Nebraska Payne era interessato ad una sola cosa: l’autenticità. E’ per questo che Bruce Dern si è trovato addosso il ruolo di Woody Grant. Si trattava di un’accoppiata perfetta per Dern, un attore diventato leggenda per aver interpretato personaggi insolenti e malvagi, ma oggi ultra-settantenne. La sua carriera lunga sessant’anni comprende una grande varietà di performance indimenticabili e una candidatura all’Oscar® per Tornando a casa – eppure non ha mai interpretato un ruolo da protagonista come quello di Woody. Con questo personaggio Dern ha potuto calarsi nella vita di un uomo ordinario, di un’anima semplice, e il risultato è stato per entrambi un gran numero di critiche entusiaste e l’ambito premio come miglior attore al Festival di Cannes 2013. Non appena Woody Grant ha preso vita, tutti hanno pensato a Dern per la parte. “Bruce è stata la prima persona menzionata da Alexander che, dopo aver preso in considerazione 100 alternative plausibili, alla fine ha deciso che comunque Bruce era assolutamente perfetto per la parte” ricorda Berger. 6 Una volta presa la decisione Payne non è mai tornato indietro. Ha osservato il modo in cui Dern si è calato nel ruolo con un gusto e un’originalità adeguati al suo livello di esperienza, riuscendo perfino ad andare oltre, su un piano decisamente umano e allo stesso tempo metafisico. “Dipendeva da Bruce in quanto attore l’approccio da scegliere. Mi ha detto che vedeva Woody come un tipo che va fuori di testa per una ventina di minuti ogni ora’” ricorda Payne. Per molti attori la peculiare complessità di Woody, fatta di caos e limpidezza, malcontento e speranza, sarebbe stata difficile da rendere credibile e autentica. Dern invece è riuscito a mantenere quel delicato equilibrio. “E’ un ruolo molto difficile da affrontare” osserva il produttore Ron Yerxa. “Bruce si muove sul confine sottile che c’è tra l’essere emotivamente represso o scoperto, tra l’essere bisbetico e simpatico, comico e vero. Avrebbe potuto eccedere in un senso o nell’altro in molti modi, e invece non ha mai perso il giusto equilibrio”. In un certo senso Bruce Dern è sempre stato un attore che ha infranto le regole, ed è diventato famoso all’epoca degli anti-eroi della contro-cultura. Dopo essersi fatto le ossa sotto buoni auspici lavorando con due maestri del cinema – in Fango sulle stelle (1960) di Elia Kazan e in Marnie (1964) di Alfred Hitchcock– ha lavorato in una serie di storie cupe e ironiche, ricche di personaggi memorabili, che hanno definito un cinema americano in grande trasformazione. Ha sparato a John Wayne ne I cowboys, è stato il fratello truffatore di Jack Nicholson nel film di Bob Rafelson Il re dei giardini di Marvin, è diventato un anticonformista eroe dello spazio nel film ambientalista fantascientifico di Douglas Trumbull 2002: la seconda odissea, si è dato alla satira nei panni dello sponsor di un concorso di bellezza nel film di Michael Ritchie Smile, e ha mostrato al pubblico la devastazione psicologica di un reduce dal Vietnam nel capolavoro di Hal Ashby Tornando a casa. E’ diventato celebre per i suoi personaggi rozzi, cattivi e criminali – recentemente è stato un brutale proprietario di schiavi in Django Unchained – ma si è anche ritagliato un proprio spazio come instancabile dissacratore. Eppure è rimasto stupito dal fatto di aver trovato forse il migliore, il più toccante e il più dissacratore dei ruoli all’età di 76 anni. Dern vede Woody, in fondo, come un uomo che cerca di convincersi che finalmente nella sua vita è arrivata un po’ di fortuna. “Woody è un uomo che ha smesso di sognare molto tempo fa” osserva l’attore. “Ma è deciso a chiudere a modo suo la sua vita. Forse non ha tutte le rotelle a posto. Ma per quanto lo riguarda riuscirà a mettere le mani su quel milione di dollari. Forse per la prima volta nella sua vita, vuole davvero qualcosa, e si dà il caso che sia proprio questo”. Ha anche amato molto l’idea di esplorare il concetto di paternità, nonostante si tratti di una paternità piena di difetti, incomprensioni e comportamenti incomprensibili, proprio come succede nella vita. “Non ho mai avuto un vero rapporto con mio padre” racconta Dern “ma alla fine del film, ho sentito di averlo ritrovato grazie ad Alexander”. Per Payne, Dern è riuscito ad infondere nel personaggio tutti le necessarie contraddizioni. “E’ riuscito ad essere irritante e commovente allo stesso tempo”, afferma. “La cosa della quale sono più grato a Bruce è che si è fidato di me, un grande dono per qualsiasi regista. Ha provato qualsiasi cosa gli chiedessi. Ad un certo punto, mentre giravamo in auto, la mia sola indicazione è stata: ‘trasformati in una specie di mucchietto tutto ammaccato’ ed è esattamente quello che ha fatto”. Dern stima molto Payne, che aveva incontrato la prima volta quando sua figlia aveva recitato nel primo film del regista La storia di Ruth, donna americana. “Non mi era mai stato proposto un ruolo così bello in tutta la mia carriera” dice Dern. “E non mi sono mai trovato tanto bene con un regista. Nella mia vita ho lavorato con diversi geni del cinema – Kazan, Hitchcock, Trumbull, Coppola e Tarantino – e Alexander Payne è entrato a far parte di questa lista. Un regista deve farti sentire sicuro di poter rischiare e lui non si tira indietro in questo, ma ti dà anche la certezza di poter sempre contare su una guida. Ti lascia andare completamente, ma è anche lì a sostenerti se ne hai bisogno”. 7 Continua: “Ogni singolo giorno che lavori per Alexander, ti senti come se stessi per fare qualcosa che non hai mai fatto prima. Spesso riesce ad ottenere cose che sembrano impossibili”. Parte del metodo usato da Payne per lavorare con Dern è consistito semplicemente nel creare da subito un legame con lui. “Per moltissime settimane prima che iniziassero le riprese, siamo usciti insieme e abbiamo chiacchierato di tutto tranne che del film, per cui quando siamo arrivati sul set, tutto si è svolto molto naturalmente” racconta il regista. Lo sceneggiatore Bob Nelson è rimasto estasiato nel vedere il modo in cui Dern ha interpretato alcune scene che gli erano state ispirate da momenti di vita vera, compresa quella il cui tono passa dalla tragedia alla comicità, quando David accompagna Woody a cercare la sua dentiera su un binario desolato. “In quella sequenza Bruce riesce a mostrare quanto ci sia ancora di vivo nella mente di Woody. Non ne eri certo, e poi improvvisamente ti rendi conto che ha ancora una scintilla. Ti accorgi che ha ancora momenti di assoluta lucidità e che una parte di lui cerca di riparare al passato” dice Nelson. Anche i suoi colleghi del cast e della troupe sono rimasti colpiti da come Dern sia riuscito a calarsi completamente nella pellaccia di Woody. “Lavorare con Bruce è stato un enorme piacere a diversi livelli” racconta Will Forte. “Sul piano professionale, è stato come frequentare ogni giorno lezioni di recitazione date da un grande maestro. Ho imparato moltissimo e mi sono immerso completamente in tutte quelle fantastiche storie su Alfred Hitchcock, John Wayne e Jack Nicholson. Sul piano personale, è una persona estremamente carina e divertente. Certe volte si diverte a fare il burbero, ma dietro quella scorza ruvida ha un cuore d’oro”. “Credo che Bruce abbia dato vita ad uno dei più bei personaggi comici nella storia del cinema” commenta Bob Odenkirk. “E’ molto divertente in tutte le scene”. Dice Stacy Keach: “Proprio come Jack Nicholson aveva dato ad Alexander Payne una delle sue performance migliori, credo che la stessa cosa possa dirsi di Bruce”. Albert Berger riassume: “Bruce è riuscito a mettere la ciliegina sulla torta della sua carriera dopo lo straordinario lavoro fatto in tutti questi anni. E’ meravigliosamente imprevedibile, proprio come Woody. Da un lato arrivava sul set preparatissimo. Dall’altro è riuscito ad improvvisare, dando tantissime sfumature al personaggio di Woody, che a volte sembra si senta perso, a volte sembra arrabbiato, a volte ha l’aria di un bambino innocente. Alexander voleva che tutti questi aspetti del personaggio venissero fuori, e Bruce ci è riuscito in pieno

IL BRAVO FIGLIO “Non ha l’Alzheimer, crede solo a quello che la gente gli dice” David Grant A recitare al fianco del Woody di Dern c’è Will Forte nel ruolo di suo figlio David, che, nonostante non sia del tutto convinto che si tratti di una buona idea, si ritrova a fare un viaggio con un padre con il quale non è del tutto convinto di riuscire a comunicare, figuriamoci stargli accanto. Forte, noto per essere un componente del cast del “Saturday Night Live” e per la sua caricatura della star dei film d’azione “MacGruber”, rivela un lato completamente inedito del suo talento di attore in un ruolo che è tanto drammatico quanto, per certi versi, buffo. Venditore di apparecchiature stereo, abbandonato dalla persona amata e convinto di aver girato a vuoto per tutta la vita, David non ha idea di dove lo porterà quel viaggio nel passato della sua famiglia. 8 Payne racconta di essere rimasto colpito dal provino di Forte. “Gli ho creduto” spiega. “Will comunica un’immediata dolcezza e sincerità, e anche la sensazione di qualcuno che ha subito molto nella vita. E, dato che dovevamo mettere insieme una famiglia, ci è sembrato che l’unione tra Bruce Dern e June Squibb avrebbe potuto produrre una persona come lui”. Forte sapeva che questo film avrebbe rappresentato un’esperienza diversa per lui, e l’idea lo elettrizzava. “Ho sempre lavorato in commedie assurde e non avrei mai neanche immaginato di poter far parte di un film come questo” racconta. “Lavorare con Alexander Payne, che è un vero eroe per me, è stato come un sogno che diventa realtà”. Era deciso a dare il massimo. “Mi era molto chiaro che si trattava per me di una meravigliosa opportunità per fare qualcosa di diverso. Ma è stata anche una grande sfida” ammette. “In questa storia ci sono elementi della commedia, ma affondano le radici nella vita reale, e la cosa interessante è che Bruce e June hanno la maggior parte delle sequenze divertenti. David in effetti è quello con la testa a posto”. Sul set sono rimasti tutti molto colpiti dalla capacità di Forte, mai emersa con così tanta chiarezza prima, di giocare con le sottigliezze e le sfumature, e di riuscire a passare senza difficoltà da momenti divertenti a momenti commoventi. “Will in questo ruolo è una grande scoperta” afferma Berger. “E’ riuscito ad incarnare un meraviglioso uomo qualunque, contribuendo a far sentire il pubblico coinvolto nella storia”. In parte questo dipende da un’interpretazione costruita sui suoi sentimenti contrastanti nei confronti di Woody, dice Forte. “David si sente frustrato da suo padre ma allo stesso tempo si preoccupa per lui e si rammarica del fatto di non conoscerlo abbastanza. Vede in questo viaggio una possibilità per avvicinarsi un po’ a lui”. Per poter ottenere tutto questo, Forte ha dovuto lavorare ad un rapporto complesso con Dern. “Avevo un po’ paura” ammette, “ma è stata un’esperienza magica”.

 

 

MAMMINA CARA “Keith White. Anche lui voleva portarmi a letto, ma era talmente noioso… Pensa a cosa ti sei perso, Keith, se solo non avessi parlato di grano tutto il tempo…” Kate Grant Nebraska potrebbe essere la storia del rapporto tra un padre e un figlio, ma c’è una donna alla base di alcuni dei momenti più intensi del film, con June Squibb che interpreta Kate Grant, una donna dalla lingua tagliente, uno spettacolare senso dell’umorismo e una forza misteriosa come moglie e madre dedita alla sua famiglia nella buona e nella cattiva sorte. In passato l’attrice, nata nell’Illinois e che aveva debuttato sullo schermo in Alice di Woody Allen, era stata la moglie di Jack Nicholson nel film di Payne A proposito di Schmidt, ma si trattava di un ruolo completamente diverso. Eppure la Squibb afferma di aver compreso quello di Kate Grant immediatamente, dal primo provino registrato. “Non so se sia stato uno choc o una sorpresa per Alexander, ma io sapevo chi fosse quella donna e penso che lui l’abbia capito dal nastro che gli ho mandato” racconta. Lei non si limita a dire quelle cose, le pensa veramente. In lei non c’è alcuna pretenziosità”. Squibb ha particolarmente amato la franchezza impenitente di Kate. “Non ha alcun filtro” riflette. “Le parole le escono di bocca nello stesso momento in cui ha formulato un pensiero. Ha una percezione molto chiara di se stessa, di suo marito e dei suoi figli, ed è fatta così. Ma le sono molto 9 affezionata. E’ divertente, ma è anche molto protettiva nei confronti della sua famiglia ed è una persona davvero formidabile”. Kate è anche più di quanto non appaia, specialmente per suo figlio David, che, nel corso del viaggio, scoprirà un intero lato sconosciuto preoccupantemente vivace della gioventù della madre in Nebraska. Rivelare quel lato del personaggio è stato un momento chiave nella performance sfaccettata della Squibb. “Kate e Woody hanno frequentato il liceo di un piccolo paese, dove lei era probabilmente una ragazza molto sexy” commenta la Squibb. “Continuavo a pensare ai sotterfugi che doveva aver usato per accalappiare Woody, e sono sicura che il sesso fosse uno di questi. Ovviamente lei era anche cattolica, ma usava i suoi trucchetti per dire ‘basta su e giù, se non mi metti l’anello al dito’ e nella sua mente tutti i ragazzi la desideravano. E’ così che lei vede se stessa”. Sul set quel ritratto di una donna che dice sempre quello che pensa, non importa se in modo inopportuno, è stato perfezionato grazie alla stretta collaborazione tra la Squibb e Payne. “Abbiamo un rapporto che somiglia a quello di due che ballano: lui lascia che mi muova in un modo che sembra giusto per la donna che interpreto e poi inizia a fare dei piccoli aggiustamenti e a darmi idee da inserire. Ricordo che ha fatto la stessa cosa con me sul set di A proposito di Schmidt, ma stavolta molto di più. Abbiamo lavorato costantemente ed è stato tutto molto emozionante”. I risultati sono stati apprezzati da tutto il team. “June si è calata nel cuore di questa madre esuberante, incontenibile e senza freni, piena di desideri e opinioni ferme, ed è stata fantastica” conclude Yerxa.

 

IL PREFERITO “Una casa sarebbe la cosa migliore per lui cosa che, diciamocelo francamente, sarebbe più di quanto lui abbia mai pensato di avere con noi” Ross Grant Se David sembra seguire le orme del padre, suo fratello Ross è la celebrità della famiglia – un anchorman che appare ogni giorno in televisione per il notiziario. Ad interpretarne il ruolo Bob Odenkirk, attore, scrittore e regista famoso per il suo ruolo dell’“avvocato penalista” Saul Goodman nel celebre “Breaking Bad”. Odenkirk era affascinato dal contrasto tra i due fratelli. “David è un tipo senza scopi nella vita e di buon cuore, paragonato al mio personaggio, che è invece un tipo moderno e dinamico” spiega. “Nel film sono un giornalista televisivo, per cui sono sempre in movimento, in carriera. Sto facendo strada e sono in TV. Ross è un po’ più egoista, prova più rabbia nei confronti dei genitori e critica Woody che considera un alcolizzato. Ma credo che l’avventura che vivono tutti insieme finisca col riavvicinare i componenti della famiglia. Lungo il percorso finiscono coll’addolcirsi e con l’aprirsi uno con l’altro. E’ una commedia umana piena di tenerezza”. Era emozionato all’idea di lavorare con gli altri membri del cast. “Far parte di questo film è stato come ricevere un regalo pazzesco” dice. “Amo tutte queste persone e ciascuno di loro è fantastico nella parte. Forte è un amico, per cui è stato molto divertente impersonare dei fratelli. Bruce Dern come padre è il tipo più irascibile, intrattabile e scontroso con il quale divertirsi. E June Squibb, che 10 è una donna dolcissima, interpreta una moglie comprensibilmente stanca per aver dovuto avere a che fare con Woody per anni, e lei riesce a renderlo alla perfezione”. Per Odenkirk è stata un’esperienza nuova quella del ritmo dato da Payne a Nebraska, ricco di spazi aperti e momenti di raffinata recitazione, in cui si percepisce il cambiamento nei personaggi anche solo da come si avvicinano di pochi centimetri uno all’altro. “Il mio personaggio in ‘Breaking Bad’ ha un sacco di dialoghi, per cui questo lavoro è stato molto diverso” spiega. “Molte scene in Nebraska hanno pochissimi dialoghi. Alexander ci ha incoraggiato a renderci sensibili alla comunicazione che avviene attraverso gli sguardi nei momenti di silenzio”.

 

IL VETERANO “Sono un uomo con un’idea precisa di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. E se Woody è diventato ricco, e a me non ne viene niente, è sbagliato”. Ed Pegram Quando Woody torna a casa in Nebraska non passa molto prima di lasciarsi sfuggire il segreto sulla sua ipotetica fortuna – e non passa molto prima che alcuni dei suoi vecchi amici, nemici e conoscenti si facciano avanti per approfittarne. Quello più deciso a condividere il sogno di Woody, in un modo o nell’altro, è il suo socio di un tempo, Ed Pegram, interpretato da un veterano degli schermi e del palcoscenico, Stacy Keach, che si era fatto conoscere nel classico del 1972 di John Huston Città amara e che recentemente è apparso in The Bourne Legacy. Keach è anche amico di vecchia data di Bruce Dern (i due erano i protagonisti, insieme a Robert Mitchum, del film del 1982 Correre per vincere), per cui il fatto che gli sia stato assegnato il ruolo di Pegram è stata una felice coincidenza. “Il casting in questo senso non avrebbe potuto fare di meglio, perché non vedevo Bruce da quasi 30 anni, proprio come Ed non ha visto Woody per quasi 40 anni” osserva. Come per i suoi colleghi, Keach è rimasto affascinato dalla storia. “Quello che Alexander ha catturato in Nebraska è una faccia dell’America che non era mai stata mostrata prima. E’ una storia che riflette molto quello che l’America è nella sua parte più remota e nelle sue viscere” osserva. Con un personaggio che offre al pubblico momenti comici ma anche di tensione, Keach fa poca differenza tra commedia e dramma. “Tengo un corso via Skype alla George Mason University e dico sempre ai miei studenti: ‘se siete in una commedia non cercate di essere divertenti, cercate solo di essere veri. La comicità verrà fuori da sola’. E’ questa la verità”, dice. In una sequenza Ed Pegram canta in un ristorante del Nebraska un’improbabile versione karaoke di “In The Ghetto”, il pezzo di Mac Davis del 1969 che parla della povertà nei ghetti delle città e che divenne un successo grazie ad Elvis Presley. Sebbene l’effetto sia decisamente comico, Pegram, che non ha mai lasciato la sua città da quando è diventato adulto, è estremamente serio. “Sono davvero convinto che Ed sentisse profondamente quella canzone” commenta Keach, che è anche un bravo compositore. “Non che Ed sia cresciuto in un ghetto, ovviamente, ma credo che in uno strano modo si identifichi con i deboli. Non ho mai cantato seriamente in un film. Sono un attore che, se serve, può canticchiare un motivo, e penso che questo sia più o meno abbastanza per Ed. Credo che la sua idea fosse quella di un misto tra Elvis e Johnny Cash”. In momenti come quello il personaggio acquista una profondità che bilancia con un po’ di umanità il suo lato aggressivo e avido di soldi. “Alexander voleva qualcuno per il ruolo di Ed Pegram che intimidisse un po’, ma che lasciasse anche spazio alla simpatia per il personaggio” racconta Berger. 11 “In apparenza Ed è un prepotente, ma Stacy ha trovato il modo di mettere insieme i diversi aspetti di Ed e di dar vita ad una performance complessa”. Tra gli altri componenti del cast, si distinguono anche Tim Driscoll e Devin Ratray nei panni dei nipoti combina-guai di Woody; e Angela McEwan nel ruolo della giornalista che un tempo aveva un debole per Woody. Molti sono i ruoli minori, tra cui quelli di zia Betty e zio Cecil, per i quali sono stati scelti dei non professionisti. Molti componenti del cast non dicono molto nel film, ma è il modo in cui dicono quelle poche battute che li rende divertenti, commoventi o entrambe le cose. “Sono pochi i registi come Alexander in grado di esprimere tanto umorismo attraverso i silenzi” osserva Yerxa. “L’umorismo deriva in parte da quello che il pubblico immagina stia passando nella testa dei personaggi. Spesso i concetti filosofici di Alexander sono profondamente intrecciati ai personaggi e alle situazioni assurde che vivono; finoscono coll’emergere con semplicità dalla storia. Un esempio è la scena in cui gli zii di David stanno parlando di una vecchia Buick e zio Ray dice: ‘Quelle sono macchine che vanno in eterno. Che è successo a quella?’ e zio Verne risponde: ‘Ha smesso di andare’ e zio Ray: ‘A volte succede’. E’ una scena molto divertente ma suggerisce anche l’idea dell’accettazione della realtà, in un modo o nell’altro”. Berger osserva che a prescindere da quanto sia presente un personaggio nel film, Payne è sempre concentrato al 100% su ciascun attore. “Uno dei più grandi piaceri nel fare questo film è stato assistere al lavoro di Alexander con gli attori” dice. “Penso a David al capezzale del letto d’ospedale di Woody – e l’osservazione di Alexander a Will è stata: ‘guarda quest’uomo, guardalo come guarderesti un gabbiano che ha volteggiato attorno a te per gli ultimi 35 anni’. Il tipo di umorismo e di umanità che è in grado di esprimere con gli attori è una vera delizia”.

 

 

 

UNA STORIA CHE HA RICHIESTO ANNI PER ESSERE REALIZZATA “Sono io l’unica sana di mente in questa famiglia?” Kate Grant Com’era giusto forse, Nebraska ha avuto origine con il tentativo di un vero midwesterner di superare i suoi limiti. Bob Nelson, l’autore di programmi comici originario dell’Illinois, aveva deciso di mettersi alla prova scrivendo qualcosa di più vicino alla realtà. Alla mancanza di esperienza è riuscito a supplire con anni di osservazione e analisi del tipo di personaggi dei quali avrebbe voluto scrivere: i tipi taciturni un po’ buffi, quei modesti abitanti del Midwest che possono lavorare per tutta la vita, andare in guerra, crescere i figli e avere conflitti interiori senza mai raccontare la propria storia a nessuno, nemmeno ai propri familiari. “Volevo scrivere una storia su gente vera” racconta Nelson. “Mi piacciono le storie che trattano di umanità e volevo scrivere qualcosa sulla gioia di vivere e sulla tristezza che sempre l’accompagna. Volevo anche scrivere qualcosa che facesse commuovere il pubblico, perché sono dieci anni che scrivo pezzi comici. Ma soprattutto volevo che le persone rappresentate in questo film apparissero talmente reali da coinvolgerti completamente nella loro vita”. Questo senso di verità della sceneggiatura di Nelson per Nebraska deriva dalle sue esperienze familiari. “Ho saccheggiato storie della mia famiglia per dar vita alla struttura della storia e poi ho inventato partendo da quelle” spiega. Un’altra fonte di ispirazione per Nelson sono state le storie vere di anziani cittadini che si presentano negli uffici commerciali per reclamare le loro false vincite. “E’ stato partendo da questo che ho cominciato a chiedermi: cosa accadrebbe se fosse tuo padre il tipo convinto di aver vinto?” ricorda lo scrittore. “Cosa faresti? Ho pensato che un certo genere di figli lo accompagnerebbe comunque, ed è da lì che tutto ha avuto inizio”. Ma quella che inizia come un’impresa donchisciottesca per reclamare un milione di dollari si trasforma in un’impresa ancora più ardita per padre e figlio, qualcosa di simile ad un percorso verso un tacito perdono. “David vuole vedere suo padre come un brav’uomo, ma anche lui ha i suoi problemi” racconta Nelson. “E in fondo in fondo Woody vuole rimettere a posto le cose con la sua famiglia, anche se non sa assolutamente come fare”. La potente combinazione di umorismo e umanità nella sceneggiatura di Nelson ha subito attirato l’attenzione della produttrice esecutiva Julie M. Thompson, con la quale Nelson aveva lavorato per un progetto alla PBS. “Ho riso molto e mi è sembrata molto sincera e profonda” ricorda la Thompson a proposito della sceneggiatura. “Essendo anch’io originaria del Midwest, mi sono calata completamente nei personaggi”. La Thompson è rimasta talmente colpita dalla sceneggiatura, che a sua volta ha deciso di passarla ai produttori Albert Berger e Ron Yerxa, conosciuti per aver realizzato una serie di film indipendenti di successo, compresi Election di Payne, Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris, e Little Children di Todd Field. Dato il titolo della sceneggiatura, Berger e Yerxa hanno subito pensato a Payne, e gliel’hanno spedita quasi dieci anni fa, non molto tempo dopo la fine della lavorazione per Election. “Era una storia molto bella, raccontata con intelligenza e consapevolezza, e abbiamo pensato subito ad Alexander”, ricorda Berger. “Avevamo appena finito di lavorare con lui per Election e avevamo stabilito degli ottimi rapporti. All’epoca avevamo pensato ad Alexander solo perché ci suggerisse un altro regista per il film. Lui ha letto velocemente la sceneggiatura, ci ha richiamato e 13 ci ha detto di avere qualcuno in mente. E noi: ‘Chi?’, e lui: ‘Beh, io’. Ron ed io ne eravamo felici. Non poteva esserci scelta migliore. L’unico problema è che lui aveva appena finito di girare A proposito di Schmidt e stava per iniziare Sideways.” I produttori hanno deciso di lasciare a Payne il tempo necessario e girare il film quando avesse potuto. “I film di Alexander sono molto particolari” osserva Yerxa. “Sono ricchi di idee importanti, ma lui riesce a inserire queste idee in una narrazione divertente, sorprendente, per cui mentre ti godi il divertimento, lui ti parla di aspetti importanti della vita. Nebraska contiene materiale che si presta ad un lavoro del genere. Parla di una situazione che molti di noi affrontano quando i genitori invecchiano. Parla di un figlio che cerca di stabilire un contatto affettivo con una persona che sembra completamente chiusa in se stessa – e della sua scoperta che in fondo c’è qualcosa di generoso e fiero in suo padre. Come una famiglia riesca alla fine ad esprimersi affetto reciprocamente è un tema molto affascinante, sia per noi che per Alexander”. La Thompson era emozionatissima “Sapevo che Ron e Albert, che sono due produttori particolarmente attenti alle storie con personaggi forti, avrebbero apprezzato il materiale e sarebbero riusciti a portare la sceneggiatura sullo schermo. Avevamo i produttori giusti, il regista giusto, dovevamo solo aspettare il momento giusto”. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo, ma l’amore di Payne per la storia non è mai venuto meno, e all’indomani del successo di Paradiso amaro, con cinque candidature agli Oscar®, l’ha ripresa in mano. Payne ha sempre sostenuto che Nebraska fosse una storia non sentimentale e adulta, ma adesso era diventata ancora più in sintonia con la realtà. “Questa meravigliosa sceneggiatura mi era stata data 9 anni fa, e quello che mi aveva affascinato allora era il suo miscuglio di malinconia e di comicità, come accade nella vita. Mi piaceva anche il fatto che lo scrittore avesse vissuto realmente quello che succede nella storia, che aveva perciò qualcosa di personale” dice Payne. “Nel tempo trascorso da allora sono successe molte altre cose nella nostra società, e la storia è diventata come una moderna versione dell’epoca della Depressione. Ma sono convinto che qualsiasi film attinga dall’apoca in cui viene realizzato. L’aria del tempo vi soffia, che lo si faccia consapevolmente oppure no”.

 

IL CUORE DELL’AMERICA “Mio padre ha costruito tutto questo”. Woody Grant Per Alexander Payne Nebraska è stato un po’ come tornare negli ambienti familiari del Midwest dove aveva girato i suoi primi tre film – La storia di Ruth, donna americana, Election e A proposito di Schmidt – che hanno definito la sua visione divertita e distaccata della cultura americana, prima di passare alla California e alle Hawaii nei due film successivi, entrambi molto apprezzati, Sideways e Paradiso amaro. Tuttavia si tratta del ritorno in un luogo che è cambiato. E’ un luogo che si è trasformato in lunghe file di cittadine decadenti che potrebbero avere poche prospettive di sopravvivenza economica nel XXI° secolo, ma che continuano ad alimentare quello stile di vita che un tempo definiva il Paese nel suo insieme. E’ anche un luogo che esalta i dubbi di Woody e David Grant, un padre e un figlio non troppo sicuri del loro rispettivo futuro. Payne ha scelto le location per Nebraska con quella meticolosità che fa parte integrante del suo stile. Tanto che la sua infinita ricerca di ambientazioni naturalistiche si è spesso trasformata in una 14 delle maggiori difficoltà da affrontare per la produzione. Osserva Berger: “Alexander sceglie le location con la stessa cura con cui sceglie gli attori”. Dato che il film sarebbe stato in bianco e nero, le tonalità e i chiaroscuri sono diventati decisivi sia per gli ambienti che per i costumi. Per tutti si è trattato di un’esperienza nuova. “Non avevo mai creato per il bianco e nero prima, ma ci siamo ispirati il più possibile ai vecchi classici del cinema”, racconta lo scenografo Dennis Washington, creatore delle scene di film quali Il fuggitivo, L’onore dei Prizzi e Stand By Me. “In un certo senso abbiamo dovuto imparare ad usare le tecniche del passato, per poi unirle alla nuova tecnologia digitale”. L’apprendimento ha avuto inizio dal momento in cui Washington si è unito alla troupe del film. “Durante le ricerche facevo foto a colori e le trasformavo in bianco e nero per controllare i cambiamenti. Si potrebbe pensare che i cambiamenti siano ovvi, e invece no. La tua attenzione viene catturata da qualcosa nella foto a colori, ma in quella in bianco e nero improvvisamente si sposta su qualcos’altro. Ho cominciato così a capire come funzionava. Più tardi tutto quello che avevamo imparato ci ha aiutato ad evidenziare le necessarie sfumature, a lavorare con le luci e a sapere quando e come dovevamo aumentare il contrasto per ottenere il meraviglioso bianco e nero di quel tipo di fotografia” Plainview, Nebraska – una città che sembra evocare l’umiltà e la semplicità del suo nome – è il luogo utilizzato per Hawthorne. “Volevamo una cittadina che desse la sensazione del posto dal quale è venuto uno come Woody, un tipo di cittadina che non cambia molto nel tempo. Plainview è un luogo vivace –non necessariamente uguale a quello della sceneggiatura – ma dà comunque la sensazione di trovarsi in uno spazio temporale tutto suo” dice Washington. E prosegue: “Hawthorne doveva essere un posto non troppo carino. Non si è imborghesito. E’ un misto di vecchio e di nuovo, ma ti dà la sensazione di non essere cambiato molto. E’ sopravvissuto, come la gente che ci vive. Il lavoro che abbiamo fatto sulla città è stato molto discreto”. Per le riprese molti cartelli con il nome della città sono stati cambiati da Plainview in Hawthorne, cosa che ha avuto delle conseguenze. “Mi hanno detto che un corriere della Fed-ex cercava un indirizzo di Plainview e trovava solo Hawthorne, così si è perso in pieno centro” ricorda ridendo Washington. Per Washington si è trattato della prima collaborazione con Payne, un’esperienza che ha apprezzato molto. “Non credo di aver mai trascorso tanto tempo con un regista a cercare le location giuste, analizzando la teoria e la storia” spiega. “Alexander all’inizio mi aveva detto: ‘Sono un tipo pignolo per le location’ e devo dire che non scherzava. E’ stato tutto il tempo in giro con noi, bussando alle porte di estranei e dicendo loro: ‘Lo so che non ci conoscete, ma vorremmo dare un’occhiata alla vostra casa’. Ha sempre qualcosa di molto preciso in mente, ma resta aperto a considerare qualsiasi alternativa. Ti può capitare di essere in macchina con lui, e improvvisamente si ferma e dice: ‘Guarda quell’insegna. Dobbiamo procurarci quell’insegna’. E questo contribuisce ad arricchire la storia passo dopo passo”. Per la costumista Wendy Chuck, che lavora con Payne dai tempi di Election, Nebraska ha rappresentato una vera occasione per studiare le sfumature e i particolari, e ha dovuto lavorare meticolosamente per fare in modo che i personaggi dessero la sensazione di essere tutto meno che meticolosamente studiati, che fossero casual, naturali e veri come chiunque potrebbe capitarti di incontrare per strada in una cittadina del Midwest. Per il personaggio di Woody interpretato da Bruce Dern, Wendy ha adottato un approccio dal basso. “Ho cominciato cercando le scarpe giuste” spiega. “Cammina talmente tanto al freddo… Così ho cominciato con quello che penso siano delle scarpe comode da persona anziana. Poi ho deciso di fargli indossare sempre gli stessi jeans per tutto il film. Voi direte ‘oh, semplici jeans…’ ma noi volevamo quel tipo di pantaloni che magari vengono comprati un po’ troppo lunghi 15 e finiscono con lo sfrangiarsi in fondo Per cui abbiamo invecchiato e sdrucito davvero i suoi pantaloni”. Allo stesso modo il team della Chuck ha trattato le camicie a scacchi di Woody in una betoniera, e poi le ha immerse nel succo di limone per farle sbiadire e farle sembrare consumate come lui. Sopra le camicie c’è la giacca che Woody porta per tutto il film. “Siamo stati fortunati a trovare la giacca perfetta in un magazzino dell’Esercito della Salvezza a Norfolk, in Nebraska, che è il massimo del capo d’abbigliamento locale che si possa sperare di trovare” racconta Chuck. “Aveva il tessuto giusto e la giusta usura, ed aiuta Bruce a dar forma alla sua performance. Gli dà un look a strati e io credo che la personalità di Woody possa essere definita a strati” David comincia vestito in modo casual come un ragazzo di oggi ma, mano a mano che il film va avanti, finisce col vestirsi sempre più come suo padre, in camicia a scacchi e jeans. “Capiamo che si stanno riavvicinando” osserva Chuck. “David ha molti capi di abbigliamento simili a quelli di Woody, sono solo in versioni leggermente diverse”. Nonostante abbia lavorato su abiti di tutti i giorni come i comodi vestiti abbottonati di June Squibb o i cappellini da camionista di Stacy Keach, Wendy Chuck ha avuto la sensazione di aver creato un ritratto riuscito di normale vita quotidiana. “Dalla prima settimana di lavoro sul film, mi sono sentita su di giri perché percepivo il fatto che stavo dando il mio contributo a quella che considero un’opera d’arte” dice. “E’ talmente emozionante svegliarsi ogni giorno e sentirsi appassionati a quello che si sta facendo, felici di andare sul set, incontrare gente che ami, collaborare con loro e ogni sera non vedere l’ora che ricominci la mattina dopo. E’ davvero un dono immenso quello di lavorare con tanta gioia”.

Sulla scia delle riprese principali, Payne e il suo montatore Kevin Tent, che ha montato tutti i suoi film, hanno cominciato a lavorare alla struttura narrativa per darle la sua forma definitiva. I tocchi finali hanno riguardato la colonna sonora curata da Mark Orton, il compositore poli-strumentista noto come membro del gruppo Tin Hat Trio celebre per aver ridefinito la musica da camera. “Alexander ha usato inizialmente un brano dei Tin Hat Trio come traccia provvisoria, ma alla fine si è talmente innamorato della musica da coinvolgere Mark per fargliene comporre altre” spiega Berger. “La musica di Mark ha qualcosa di profondo e ammaliante che la rende molto cinematografica. La colonna sonora che ha composto si addice perfettamente ai paesaggi e ai personaggi, contiene lo stesso mix di umorismo e profondità”. La stessa combinazione di divertimento e riflessioni sulla vita caratterizza tutto il film, ma la regia resta talmente invisibile da spingere il pubblico a partecipare all’insieme contribuendo con il proprio bagaglio di esperienze. “Penso che nella vita di molti ci sia un viaggio con un genitore, o un momento trascorso con uno dei genitori, che si è sempre desiderato che ci fosse”, conclude Yerxa. “Forse non c’è mai stato, Ma è sempre lì nei pensieri di ciascuno di noi. Nebraska è quel viaggio”.

 

IL NUOVO BIANCO E NERO “Ti ci sono voluti due giorni per fare 1.200 chilometri? Ma che razza di rottame stai guidando?” Cole Una delle prime decisioni prese da Alexander Payne relativamente a Nebraska è stata quella di girare il film in bianco e nero. Sapeva che sarebbe stato un rischio, ma era fondamentale per la sua visione della storia. “Lo stile visivo sarebbe stato il biglietto da visita del film” osserva. “Il bianco e nero sembrava essere la scelta giusta, e l’ho sempre immaginato così” spiega Payne. “Ho sempre desiderato fare un film in bianco e nero. E’ un formato bellissimo. E questa storia sobria e rigorosa si presta ad uno stile delle immagini semplice, spoglio e disadorno come la vita dei protagonisti del film”. Tutte le persone coinvolte nella produzione sono rimaste affascinate dall’idea, nonostante i dubbi che l’uso del bianco e nero pone nel cinema di oggi. Dice Berger: “Alexander è sempre stato interessato ad ottenere un look autentico, ma il bianco e nero rende la storia in un certo senso simbolica. Con il direttore della fotografia Phedon Papamichael, Alexander ha usato il bianco e nero e il Cinemascope per amplificare l’effetto della narrazione. A tratti mi ha fatto venire in mente il lavoro di John Ford o L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich – è un film adatto a quel genere di tradizione visiva americana. E Phedon è talmente bravo come direttore della fotografia che è stato davvero emozionante offrirgli la possibilità di mettere alla prova il suo talento”. Aggiunge Yerxa: “Phedon ha la capacità di trovare la bellezza nelle cose ordinarie. Penso che il look del film riesca davvero a trasportare chi lo guarda nel Midwest. Riesce a trasmettere l’idea della quintessenza dell’America profonda in modo piacevole e creando una straordinaria atmosfera”. Semmai il bianco e nero ha reso la realizzazione del film ancor più attenta ai dettagli. “Ogni inquadratura è stata meticolosamente pianificata per creare un ambiente speciale” osserva George Parra. “Alexander e Phedon sono cineasti puri. Non ci sono molte riprese con dolly, gru o steadycam, e l’effetto è quello di un film alla Billy Wilder”. Gli attori erano completamente d’accordo. “Questo film è perfetto per il bianco e nero perché questo tipo di fotografia ti porta a concentrare la tua attenzione sul comportamento dei personaggi” osserva Stacy Keach. “Non ci sono distrazioni”. Papamichael, che ha curato anche la fotografia di Sideways e di Paradiso amaro, racconta che Payne aveva parlato di bianco nero fin dall’inizio. “E’ così che se lo è sempre immaginato” dice, “per cui anche se questo ha implicato una serie di problemi da affrontare, non è mai stato messo in discussione”. Le specificità delle tonalità e della grana sono state decise dopo una serie di test. “Abbiamo fatto tantissime prove” ricorda Papamichael “per trovare il bianco e nero giusto per il film. Tuttavia il risultato non ha niente di stilizzato. Il look contrastato fa da sfondo alla commedia umana e crea l’atmosfera generale”. Papamichael osserva che tutti erano decisi a sfruttare al massimo questa opportunità da un punto di vista creativo. “Sapevamo che probabilmente sarebbe stata l’unica possibilità nella nostra vita di girare un film in bianco e nero, cosa che rappresenta il sogno di molti filmmaker, per cui ce la siamo gustata a fondo. Alla fine la sensazione che avevamo tutti era: ‘come faremo a tornare a girare dei film a colori?’ E’ come se ci fossimo trovati immersi in una realtà completamente nuova”. Per esplorare a fondo quella realtà lui e Payne hanno esaminato film noir, film del neorealismo italiano e film americani come L’ultimo spettacolo (bisogna sottolineare che il padre di 17 Papapmichael aveva lavorato al sequel del film di Bogdanovich, Texasville), ma il fattore che ha influenzato maggiormente le loro scelte sono stati i personaggi. “Solo il modo in cui il bianco e nero esalta le espressioni sul volto di Bruce Dern, mettendo in risalto le sfumature della sua performance, è già straordinario” osserva. “Altrettando importante è stata la decisione di girare con lenti anamorfiche perfette per questo genere di paesaggi, con tutta la loro vastità, il cielo così potente, i campi, le atmosfere dei villaggi del Midwest”. La decisione di girare con macchine da presa Arri Alexa è stata presa dopo innumerevoli prove che hanno dimostrato che il digitale avrebbe offerto maggiore flessibilità e una gamma di toni più estesa. In fase di post-produzione è stato poi aggiunto un effetto particolare per riprodurre la grana tipica della pellicola, evocandone anche le imperfezioni. Era la prima volta che Papamichael girava nel Midwest, ed è rimasto molto affascinato dai suoi luoghi e soprattutto dalla sua gente. “Ti trovi di fronte a questi paesaggi meravigliosi, quasi archetipici, ma le scene che ho amato di più girare sono state comunque quelle che raccontano le piccole vicende umane”, conclude.

 

 

 

 

 

 

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